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Corte d'Appello di Bologna > Licenziamento disciplinare
Data: 12/03/2001
Giudice: Castiglione
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 116/01
Parti: Francesco M. / Poste Italiane S.p.A.
LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA - FATTI ESTRANEI ALL'ATTIVITA' LAVORATIVA - RILEVANZA AI FINI DELL'INAPPLICABILITA' DELL''ART. 7 STATUTO DEI LAVORATORI - INSUSSISTENZA - TUTELA REALE - APPLICABILITA'.


Un fattorino dipendente delle Poste Italiane SpA, rinviato a giudizio per gravi reati contro il patrimonio, veniva licenziato senza preventiva contestazione di addebito, ed il Tribunale di Piacenza riteneva legittimo il licenziamento sul rilievo che i fatti contestati non attenevano al rapporto di lavoro bensì a comportamenti svoltisi all'esterno, quindi estranei all'attività del ricorrente. Il dipendente proponeva appello e la Corte d'Appello di Bologna accoglieva il ricorso riformando la sentenza di primo grado e prendendo spunto per una ampia e completa disamina di tutte le problematiche connesse all'applicazione dell'art. 7 legge n. 300/1970. La Corte ha innanzi tutto evidenziato che il potere disciplinare va ritrovato nell'art. 2106 cod. civ., che sanziona l'inosservanza agli obblighi di diligenza e di fedeltà (artt. 2104 e 2105 cod. civ.) connotanti le modalità di esecuzione della prestazione di lavoro, modalità riconducibili all'oggetto del contratto, sicchè il loro inadempimento si qualifica, prima di tutto, come inadempimento contrattuale. Ma mentre in generale l'inadempimento degli obblighi contrattuali trova la sua sanzione nella disciplina della risoluzione (artt. 1453 e segg. cod. civ.) e del risarcimento del danno, l'inadempimento del lavoratore - oltre a giustificare, talora, il licenziamento per giusta causa - rappresenta il presupposto di fatto perché possa esercitarsi un potere privato (quello disciplinare) inquadrabile nella categoria dei diritti potestativi, giacchè il datore di lavoro, con una sua dichiarazione unilaterale di volontà, può incidere sulla situazione soggettiva del lavoratore, modificandola senza il tramite di una domanda giudiziale, della quale è invece onerato il lavoratore, ove voglia far accertare l'insussistenza dei presupposti di fatto dell'esercizio di quel potere. La possibilità di irrogare sanzioni disciplinari (inquadrabili nella categoria delle "pene private") trova quindi fondamento nell'esistenza del potere direttivo e gerarchico, e limite nel criterio di proporzionalità tra sanzione e infrazione (art. 2106 cod. civ.) e nelle incisive prescrizioni (soprattutto) di carattere procedimentale dettate dall'art. 7 della legge n. 300/1970. Vanno quindi considerate in violazione dei precetti costituzionali innanzi tutto la sanzioni automatiche (senza procedimento disciplinare e senza valutazione della gravità del fatto) rinvenibili soprattutto nel settore del pubblico impiego (ovviamente prima della legge 7.2.1990, n. 19, che all'art. 9 ha eliminato la destituzione di diritto a seguito di condanna penale, prescrivendo che tale sanzione possa essere irrogata solo all'esito di un procedimento disciplinare) ma anche nel settore privato. Nella approfondita disamina della problematica relativa al licenziamento disciplinare, caratterizzata da numerosissime pronunzie sia della Corte Costituzionale sia della Corte di Cassazione (tutte scrupolosamente citate in sentenza), un punto fermo va certamente trovato nella sentenza delle Sezioni Unite n. 4827/1987, laddove i giudici di legittimità hanno statuito che, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 1982, le garanzie procedimentali previste dai commi 2 e 3 dell'art. 7 legge n. 300/1970 (contestazione preventiva dell'addebito e audizione a difesa del lavoratore occupato) si applicano a qualsiasi licenziamento "ontologicamente" disciplinare, mentre per l'applicabilità della garanzia prevista dal comma 1 dello stesso art. 7 (pubblicità del cd. codice disciplinare) è subordinata alla predeterminazione, da parte di detta normativa, di specifiche ipotesi di giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento, pur essendo ormai pacifico che per le sanzioni espulsive il potere di licenziare scaturisce direttamente dalla legge (Cass. n. 1412/2000; Cass. n. 2954/1999; Cass. n. 7884/1997). La decisione del giudice di Piacenza, quindi - basata sul fatto che il recesso del caso in esame troverebbe il suo fondamento nella legge - sarebbe stata condivisibile ove il lavoratore avesse lamentato esclusivamente la violazione dell'obbligo di affissione del codice, ma deve trovare censura laddove si pone in contrasto con principi ormai pacifici, secondo i quali "la funzione della previa contestazione dell'addebito, richiesta dall'art. 7 Stat. per i licenziamenti qualificati come disciplinari, è quella di consentire al lavoratore una puntuale difesa" (Cass. n. 11430/2000). Dalla violazione dell'art. 7 consegue, secondo la Corte d'Appello di Bologna, che "il rapporto di lavoro tra le parti deve considerarsi proseguito senza alcuna soluzione di continuità, stante l'inidoneità del licenziamento disciplinare illegittimo a risolverlo"; applicandosi nel caso concreto l'art. 18 legge n. 300/1970 "in ragione delle sua forza espansiva" (v. Cass. n. 204/1982). I giudici bolognesi hanno conseguentemente ordinato la reintegrazione dell'appellante nel suo posto di lavoro con pagamento di un'indennità - a titolo di risarcimento del danno - commisurata all'ultima retribuzione dal giorno del recesso a quello della effettiva reintegrazione, con, cumulativamente, gli accessori, interessi legali e rivalutazione (per effetto della sentenza n. 459 del 2000 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 22, comma 16, legge n. 724/1994)




Corte d'Appello di Bologna > Licenziamento disciplinare
Data: 17/01/2002
Giudice: Vezzosi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 28/02
Parti: Caterina F. / Standa SpA
LICENZIAMENTO DISCIPLINARE DI CASSIERA - CONTESTAZIONE DI TRE APPROPRIAZIONI INDEBITE IN BREVE ARCO TEMPORALE - LESIONE DELL'ELEMENTO FIDUCIARIO: SUSSISTENZA - CONTROLLI A MEZZO DI INVESTIGATORI PRIVATI PRIVI DI QUALIFICA DI GUARDIA GIURATA: LICEITA'.


Una cassiera, con venti anni di anzianità di servizio senza precedenti disciplinari, veniva accusata di aver omesso di rilasciare lo scontrino di cassa, in tre episodi ravvicinati nel tempo, ad altrettanti "clienti" (poi rivelatisi investigatori privati) di un supermercato, appropriandosi poi del relativo importo. La lavoratrice si difendeva negando gli addebiti, affermando di aver, probabilmente, provveduto a registrare nel corso delle stesse giornate l'importo non battuto a cassa, ed eccependo comunque una serie di questioni procedurali nonché la sproporzione della sanzione con riferimento al presunto danno complessivo (circa 70.000 delle vecchie lire). Il Tribunale di Reggio Emilia, giudice di primo grado, respingeva il ricorso ritenendo sussistere una lesione profonda dell'elemento fiduciario stente la "sintomatica concentrazione dei tre episodi in un arco temporale molto breve (dieci giorni)". La lavoratrice impugnava la sentenza censurandola in primo luogo rispetto alla legittimità degli accertamenti, effettuati da persone prive della qualifica di guardie giurate che, si affermava, avevano creato occasioni di inadempimento in quanto interessati ad un esito positivo dell'indagine e della causa. Sul punto la Corte d'Appello, invocando precedenti della Corte di Cassazione, ha dichiarato legittimi i controlli esercitati da dipendenti di un'agenzia investigativa operanti come normali clienti di un esercizio commerciale (Cass. n. 10761/1997), ritenendo possibile per il datore di lavoro esercitare tale controllo anche mediante la propria organizzazione, e quindi pure adibendo a mansioni di vigilanza determinate categorie di prestatori d'opera, anche se privi di licenza prefettizia di guardia giurata (Cass. n. 9576/2001) non coincidendo l'attività di acquisto dei prodotti alla cassa con l' "eseguire investigazioni o ricerche o raccogliere informazioni per conto dei privati" (Art. 134 TULPS). Pur censurando, poi, le modalità con cui l'azienda, con metodo plateale e discutibile, aveva dato pubblica lettura della lettera di contestazione, La Corte d'Appello riteneva ugualmente di confermare la decisione del Tribunale, non solo perché considerava l'operato della dipendente caratterizzato da estrema imperizia e negligenza, ma perché riteneva, in termini molto espliciti, che "con estrema probabilità i denari degli scontrini siano finiti direttamente nelle tasche della dipendente" e quindi "che il licenziamento fosse l'unica via percorribile, a fronte della gravità intrinseca della condotta (appropriazione indebita di somma di denaro), del ruolo specifico svolto dalla dipendente (cassiera), della reiterazione degli episodi (tre in una settimana)s




Corte d'Appello di Bologna > Licenziamento disciplinare
Data: 31/12/2003
Giudice: Varriale
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 476/03
Parti: Patrizia I. / Poste Italiane SpA
LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - COMPORTAMENTO EXTRALAVORATIVO. NATURA DISCIPLINARE DEL LICENZIAMENTO: SUSSISTENZA - IMMEDIATEZZA E TEMPESTIVITA': ELEMENTO COSTITUTIVO DELLA GIUSTA CAUSA - PROTRAZIONE DELLA PRESTAZIONE LAVORATIVA PER UN PERIODO NOTEVOLE OLTRE


La società Poste Italiane, venuta a conoscenza dei rinvio a giudizio di un sua dipendente per fatti estranei al rapporto di lavoro nel febbraio 1998, ed avutane formale conferma nel settembre dello stesso anno, nel novembre la licenziava ai sensi dell'art. 2119 e dell'art. 79 del CCNL, senza preventiva contestazione disciplinare. Il rapporto peraltro proseguiva fino al 8 febbraio 1999, data in cui la stessa veniva allontanata dall'ufficio. Il licenziamento veniva impugnato avanti al Tribunale di Bologna, che peraltro respingeva il ricorso, escludendo la natura disciplinare di quello intimato formalmente nel novembre 1998; ritenendo che, nonostante la lavoratrice avesse ininterrottamente continuato a lavorare per tre mesi, non vi fosse stata revoca di detto licenziamento essendo per quest'ultima necessaria la forma scritta; dichiarando che l'invito ad allontanarsi da posto di lavoro non fosse un licenziamento orale, ma una richiesta di dare attuazione ad una decisione già assunte. Di diverso avviso si è mostrata la Corte d'Appello di Bologna che ha invece ritenuto illegittimi entrambi i licenziamenti (quello scritto e quello orale) e colto l'occasione per fare il punto di una serie di problematiche in tema di licenziamento individuale, ribadendo - ma con diverse argomentazioni - posizioni in parte già espresse in un caso analogo nei confronti dello stesso datore di lavoro (App. Bologna 12 marzo 2001, n. 116/01). La Corte ha innanzi tutto contrastato la tesi aziendale secondo cui non si tratterebbe, nel caso di specie, di un licenziamento disciplinare perché a fondamento dello stesso non vi sarebbe un inadempimento degli obblighi lavorativi, ma "una giusta causa", diversamente disciplinata dall'art. 79 del CCNL, e dall'art. 2119 cod. civ. Richiamando numerose decisioni della Corte di Cassazione (Sezioni Unite 1.6.1987, n. 4823, che a loro volta richiamano Corte Costituzionale n. 204/1982; v. anche Cass. 17.3.1993, n. 3146; Cass. 4.3.1993, n. 2596; Cass. 17.5.1996, n. 4598) la Corte d'Appello rammenta che la procedura di cui all'art. 7 della legge n. 300/70 deve applicarsi ad ogni licenziamento che sia "ontologicamente disciplinare" anche se riferito ad un comportamento extra-lavorativo (Cass. 22.8.1997, n. 7884; cfr. pure Cass. 15.1.1997, n. 360) estendendosi l'obbligo di fedeltà anche a comportamenti che per loro natura e per le loro conseguenze appaiano in contrasto con i doveri connessi all'inserimento del lavoratore nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa (Cass. 3.11.1995, nn. 11437; cfr. pure Cass. 8.10.1998, n. 9976). Per questo motivo la Corte - non ravvisando, tra l'altro, elementi contrari nella contrattazione collettiva - ha accolto il primo motivo d'appello ritenendo illegittimo il licenziamento formalmente comunicato nel novembre 1998 per violazione dell'art. 7 legge n. 300/1970. Pur considerando assorbente tale argomentazione, i giudici bolognesi hanno anche censurato la condotta della Società che, pure essendo a conoscenza dei fatti posti a fondamento del licenziamento fin dal febbraio del 1998, hanno atteso nove mesi per intimarlo. Salvo poi - e qui l'Ente Poste incappa in un'ulteriore censura - attendere sino al febbraio 1999 prima di portare ad esecuzione il proprio recesso, corrispondendo sino a tale data un regolare stipendio a fronte di un'ininterrotta prestazione lavorativa. Richiamando la giurisprudenza del Supremo Collegio in tema di tempestività, la Corte d'Appello rammenta che l'immediatezza della reazione datoriale al "fatto" del lavoratore può ritenersi elemento costitutivo dell'ipotesi di recesso per giusta causa ( Cass. 5.3.2003, n. 3245; Cass. 28.9.2002 n. 14074; Cass. 25.7.1994, n. 6903). La Corte ha infine censurato la decisione del primo giudice per non aver considerato la prosecuzione del rapporto una revoca tacita: secondo la Corte di Cassazione, infatti, la spontanea ricostruzione del rapporto di lavoro sciolto a causa di licenziamento illegittimo non richiede forme solenni, come risulta dall'art. 1350 c.c. onde può ben essere realizzato attraverso fatti concludenti (Cass. 19.6.1993, n. 6837; cfr. pure Cass. 18.11.1997, n. 11467; Cass. 6.8.1999, n. 8493) e non può attribuirsi alla parte recedente la facoltà di determinare il momento di produzione degli effetti del recesso in data diversa da quella già indicata con la comunicazione al lavoratore (Cass. 28.10.1997, n. 10624; cfr. pure Cass. 23.6.2003, n. 9973). Quindi il successivo allontanamento verbale della dipendente dal posto di lavoro ha configurato un nuovo licenziamento, inefficace ai sensi del terzo comma dell'art. 2 della legge n. 604/1966 perché intimato oralmente




Corte d'Appello di Bologna > Licenziamento disciplinare
Data: 07/09/2007
Giudice: Varriale
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 361/07
Parti: Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Sovraintendenza Scolastica Regionale per l’Emilia Romagna e Centro Servizi Amministrativi di Parma / Lorenza G.
LICENZIAMENTO DISCIPLINARE – INVIO DELLA LETTERA DI LICENZIAMENTO PRIMA CHE IL LAVORATORE ABBIA RICEVUTO LA CONTESTAZIONE DISCIPLINARE – NEGLIGENZA DEL DATORE DI LAVORO – ILLEGITTIMITÀ DEL RECESSO.


Art. 7 legge n. 300/1970

Art. 8 legge n. 604/1966

Con riferimento a fatti verificatisi il 14.8.2003 il datore di lavoro inviava lettera di contestazione datata 21.8.2003 e successivamente licenziava il dipendente con lettera 1.9.2003. Il Tribunale di Parma, respinte le istanze di prove testimoniali articolate dalle parti, ha dichiarato l’illegittimità del recesso condannando la ditta – in ragione delle sue dimensioni occupazionali – a riassumere il lavoratore o a pagargli, a titolo risarcitorio, un’indennità pari a quattro mensilità. Il primo giudice ha infatti rilevato che il datore di lavoro non aveva fornito la prova della preventiva contestazione di addebito, in quanto la lettera 21.8.2003 risultava pervenuta solo il 25.9.2003 (e quindi dopo il licenziamento) all’indirizzo cui era stata spedita, dove peraltro il lavoratore aveva precisato di non avere più la sua residenza e che era diverso da quello dove gli era stata poi recapitata la lettera di licenziamento. Il Tribunale sottolineava anche che era comunque impossibile identificare a chi fosse stata consegnata la lettera di contestazione, non essendo stato prodotto il relativo avviso di ricevimento. Chiamata a pronunciarsi su impugnazione della sentenza da parte della ditta, la Corte d’Appello di Bologna conferma la decisione di primo grado, richiamandosi ai principi espressi da Corte Cost. n. 427/1989 e Corte Cost. n. 204/1982 che hanno ribadito l’applicabilità delle garanzie procedimentali previste dall’art. 7 della legge n. 300/1970 alla “più grave delle sanzioni disciplinari” principi peraltro ripetutamente confermati dal Supremo Collegio (Cass. 6.10.2005 n. 19418; Cass. 27.2.2004 n. 4050; Cass. 21.12.1990 n. 12117; Cass. 13.2.1990 n. 1040; Cass. 5.12.1989 n. 5365; Cass. 5.12.1988 n. 6826; Cass. 23.6.1986 n. 4184). Dichiara pertanto del tutto infondata la tesi della ditta appellante volta ad escludere la necessità della previa contestazione dei fatti disciplinarmente rilevanti.

Per quanto concerne la tardività del recapito della lettera di contestazione, la Corte osserva che era onere della ditta – per una corretta applicazione di quanto sancito dal secondo comma dell’art. 7 della legge 300/70 – accertarsi della ricezione della stessa da parte dell’appellato, o comunque del suo arrivo all’indirizzo cui era stata spedita, prima di adottare ogni sanzione disciplinare. Poiché in mancanza di una previa e valida contestazione va esclusa la necessità di ogni accertamento in ordine all’eventuale sussistenza dei fatti (Cass. 20.7.1988 n. 7103), la Corte ribadisce l’irrilevanza delle prove testimoniali articolate in ordine a tali fatti e la conseguente infondatezza di quanto dedotto dalla stessa in merito alla mancata ammissione di dette prove, non senza evidenziare comunque l’inammissibilità di tale motivo di appello, a fronte della – peraltro assorbente – omessa specifica impugnazione dell’ordinanza con cui il Tribunale non le ha ammesse.




Corte d'Appello di Bologna > Licenziamento disciplinare
Data: 24/07/2007
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 10/07
Parti: Umberto V. / SDA Express Courier S.p.A.
LICENZIAMENTO DISCIPLINARE – CONTESTAZIONE GENERICA – ILLEGITTIMITA’ – POSSIBILITA’ PER IL GIUDICE DI PRIMO GRADO DI ESAMINARE ANCHE IL MERITO – NATURA DI ONLUS – ONERE DELLA PROVA AI FINI DELL’APPLICABILITA’ O MENO DELL’ART. 18 – APPELLO INCIDENTALE: TEM


LICENZIAMENTO DISCIPLINARE – CONTESTAZIONE GENERICA – ILLEGITTIMITA’ – POSSIBILITA’ PER IL GIUDICE DI PRIMO GRADO DI ESAMINARE ANCHE IL MERITO – NATURA DI ONLUS – ONERE DELLA PROVA AI FINI DELL’APPLICABILITA’ O MENO DELL’ART. 18 – APPELLO INCIDENTALE: TEMPESTIVO DEPOSITO DELL’ATTO IN MANCANZA DI NOTIFICA – POSSIBILITA’ DI REMISSIONE IN TERMINI.

Art. 7 legge n. 300/1970

Art. 4 legge n. 108/1990

Art. 8 della legge n. 604/1966

Art. 18 legge n. 300/1970

Art. 436, comma terzo, cod. proc. civ.

Accusate di aver posto in essere una diffamazione pubblica nei confronti del Pensionato presso il quale prestavano la loro attività, due lavoratrici dipendenti di una Fondazione impugnavano i licenziamenti con ricorsi d’urgenza avanti al Tribunale di Ferrara, che venivano respinti dal giudice monocratico ma accolti dal Collegio in sede di reclamo, che ordinavano la loro reintegrazione nel posto di lavoro. Nel giudizio di merito le ricorrenti chiedevano accertarsi l’illegittimità del licenziamento in via principale per violazione dell’art. 7 legge n. 300/1970 (stante la genericità della contestazione disciplinare), in via subordinata per carenza di giusta causa o giustificato motivo. Il Tribunale, dopo aver accertato che la locuzione utilizzata nella contestazione disciplinare “non poteva essere oggettivamente considerata come come una espressione adatta a rilevare comportamenti specifici”, entrava comunque nel merito della condotta contestata (ritenendola “di per sé potenzialmente lesiva del rapporto fiduciario tra le parti”) e, in parziale accoglimento delle domande, sanzionava l’accertata illegittimità dei licenziamenti con la sola tutela obbligatoria offerta dall’art. 8 della legge n. 604/1966 per non aver le lavoratrici provato i requisiti dimensionali, e precisando – comunque – che il datore di lavoro non aveva fornito adeguata prova dell’effettivo inquadramento della fondazione nelle organizzazioni di tendenza.

La Corte d’Appello di Bologna, con riferimento al primo motivo d’appello delle due lavoratrici, corregge l’impostazione del primo giudice richiamando l’insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione secondo cui “le dimensioni dell’impresa costituiscono (…) fatti impeditivi del diritto soggettivo del lavoratore e devono, perciò, essere provati dal datore di lavoro” (Cass. S.U. n. 141/2006; conf. Cass. n. 12722/06; Cass. n. 13945/06; Cass. n. 15948/06; Cass. n. 19276/06) che nel caso concreto si era limitato ad affermare di essere una organizzazione di tendenza. A tale proposito i giudici bolognesi rammentano che, secondo consolidata giurisprudenza (v., tra le tante, Cass. n. 12926/99; n. 18218/02; n. 12634/03; n. 10155/05; n. 20442/06) al fine di configurare una organizzazione di tendenza è necessario che si tratti di datore di lavoro “non imprenditore”, privo dei requisiti previsti dall’art. 2082 cod. civ. (e cioè professionalità, organizzazione, natura economica dell’attività): in altri termini “l’applicazione della disciplina prevista dalla predetta legge n. 108 del 1990 per le organizzazioni di tendenza presuppone l’accertamento in concreto da parte del giudice di merito dell’assenza nella singola organizzazione di una struttura imprenditoriale e della presenza dei requisiti minimi dell’organizzazione di tendenza, così come definita dalla stessa legge all’art. 4” (Cass. S.U. n. 141/2006). Poiché il Tribunale di Ferrara aveva dichiarato che la fondazione non aveva dimostrato di essere una organizzazione di tendenza e la Onlus non aveva ripreso nella propria memoria di costituzione in appello la eccezione – contenuta per la prima volta nelle note difensive autorizzate in primo grado – di essere un “ente no profit” senza “carattere imprenditoriale” e “scopo di lucro” –, la Corte d’Appello di Bologna dichiara essersi formato il giudicato interno in ordine alla citata affermazione del primo giudice.

Il secondo motivo d’appello era relativo ad un aspetto processuale: le lavoratrici lamentavano che il primo giudice, dopo aver accertato la violazione delle garanzie processuali previste dall’art. 7 della sarebbe incorso nel vizio di ultrapetizione dato che, per effetto dell’accoglimento della domanda principale, non avrebbe più potuto procedere all’esame di quelle subordinate in ordine alle quali – se non impugnate – avrebbe potuto formarsi giudicato interno: con altri termini le censure proposte solo in via subordinata dovevano ritenersi assorbite dal vizio procedurale. La Corte d’Appello esclude che vi sia stata violazione dell’art. 112 cod. civ. dal momento che il Tribunale ha mantenuto la portata della decisione nell’ambito delle domande e delle eccezioni prospettate dalle parti. Nel merito la sentenza qui commentata richiama la giurisprudenza del Supremo Collegio secondo cui “la sentenza del giudice del merito che, dopo aver aderito alla prima ragione, esamini ed accolga anche la seconda, al fine di sostenere la decisione pure nel caso in cui la prima possa risultare erronea, non incorre nel vizio di contraddittorietà della motivazione, il quale sussiste nel diverso caso di contrasto di argomenti confluenti nella stessa ratio decidendi, né contiene, quanto alla causa petendi alternativa o subordinata, un mero obiter dictum, insuscettibile di trasformarsi nel giudicato, ma configura una pronuncia basata su due distinte rationes decidendi, ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata e, pertanto, può essere utilmente impegnata solo mediante la censura di entrambe” (v. Cass. n. 21490/05; n. 3236/85).

In realtà nel caso della sentenza impugnata il giudice di primo grado non aveva accolto la seconda ragione, in quanto aveva dichiarato che, nel merito, la condotta tenuta dalle lavoratrici sarebbe comunque incompatibile con l’elemento fiduciario: quindi il caso era diverso da quello in cui entrambe le rationes decidendi erano autonomamente sufficienti a sorreggere la soluzione adottata. La Corte d’Appello di Bologna sul punto non appare quindi del tutto convincente, salvo per l’affermazione secondo cui “la decisione del Tribunale di Ferrara si fonda, esclusivamente, sulla illegittimità dei licenziamenti per la riscontrata violazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 (…) per cui tutte le ulteriori argomentazioni contente nella sentenza in ordine alla esistenza o meno della giusta causa e sulla valutazione della condotta delle lavoratrici (…) qualora si ritenessero estranee al contenuto della decisione in concreto assunta dal giudicante, non assumono alcuna rilevanza e, come tale, non sono suscettibili di passare in giudicato”.

La Corte d’Appello affronta poi l’unico motivo dell’appello incidentale finalizzato ad ottenere la dichiarazione di illegittimità dei licenziamenti per grave violazione dell’obbligo di fedeltà. L’appello era stato proposto mediante costituzione in cancelleria dieci giorni prima dell’udienza, ma senza provvedere alla tempestiva notifica. I giudici bolognesi – a richiesta dell’appellante incidentale – concedevano nuovo termine per la notifica rinviando la causa a nuova udienza, accogliendo il principio, più volte affermato dalla Corte di Cassazione, secondo cui “la sanzione della decadenza dall’appello incidentale deve intendersi comminata dall’art. 436, comma terzo, cod. proc. civ. nella sola ipotesi di mancato deposito in cancelleria della memoria difensiva dell’appellato (…) e non anche nel caso di omissione dell’adempimento, parimenti previsto dalla legge, della notificazione della memoria nello stesso termine. (…) Ne consegue che (…) il giudice deve concedere all’appellante incidentale nuovo termine, perentorio, per la notificazione omessa (o invalida)” (Cass. n. 14952/04; n. 3069/05; n. 17765/06).

Non essendo però, nel caso concreto, parte appellante incidentale comparsa alla successiva udienza, e non avendo conseguentemente documentato di ave




Corte d'Appello di Bologna > Licenziamento disciplinare
Data: 03/09/2007
Giudice: Varriale
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 429/07
Parti: Francesca M. / X
LICENZIAMENTO DISCIPLINARE – TERMINE PREVISTO DAL CCNL PER L’ADOZIONE DELLO STESSO – NATURA PERENTORIA.


-                Art. 7 legge n. 300/1970

-                Art. 52 del CCNL del  4.6.1998 Industria chimica

-                Art. 2965 cod. civ.

 

Un lavoratore veniva licenziato disciplinarmente sette giorni dopo il ricevimento delle giustificazioni, laddove il terzo comma dell'art. 52 del CCNL Industria chimica del 4.6.1998 all’epoca applicabile prevedeva che: "Il provvedi­mento non potrà essere emanato se non trascorsi cinque giorni da tale contestazione, nel corso dei quali il lavoratore potrà presentare le sue giustificazioni. Se il provvedimento non verrà emanato entro i cinque giorni successivi tali giustificazioni si riterranno accolte": conseguentemente chiedeva ed otteneva dal Tribunale del Lavoro di Ferrara che il licenziamento venisse dichiarato illegittimo con l'applicazione della disciplina ripristinatoria e risarcitoria prevista dal­l’art. 18 legge 300/70.

Contro la sentenza la società proponeva appello affermando che l'art. 7 della legge 300/70 non pone alcun termine per l'irrogazione della sanzione disciplinare e che l'art. 52 del CCNL porrebbe una presunzione dell'accettazione delle giustificazioni che però, non avendo natura pub­blicistica, sarebbe da ritenersi "semplice" e suscettibile quindi di essere superata con ogni mezzo di prova. Sottolineava inoltre il datore di lavoro che tra la ricezione delle giustificazioni del lavoratore e l'irrogazione della sanzione non era tra­scorso un lasso di tempo tale da far presumere il venir meno della sua volontà di esercitare il potere sanzio­natorio. Aggiungeva infine che la legittimità del termine di decadenza deve essere verificato in relazione al caso concreto e che anche il principio dell'immedia­tezza della contestazione è relativo, dovendosi corre­lare alla possibilità di consentire al lavoratore un'a­deguata difesa, e la sua osservanza deve essere valu­tata tenendo presenti le eventuale peculiarità delle indagini necessarie per accertare i fatti disciplinar­mente sanzionabili: alla luce di queste considerazioni sosteneva che nel caso concreto il termine decadenziale previsto dall’art. 52 del CCNL del 1998 era inadeguato  - a fronte della sua orga­nizzazione aziendale diffusa, perché articolata in can­tieri sparsi sull'intero territorio nazionale, che aveva reso necessario in­terpellare i responsabili di due cantieri per verifi­care l'eventuale veridicità di quanto addotto dal lavo­ratore a giustificazione degli addebiti contestatigli – ed al riguardo evidenziava che pure le parti sindacali nel nuovo accordo del 12.2.2002 avevano portato ad otto giorni il termine in questione.

La Corte d’Appello di Bologna respinge il ricorso della società, premettendo in primo luogo che, secondo la Corte di Cassazione, "le garanzie di difesa del lavoratore apprestate dalla norma dell'art. 7, comma 5, della l. n. 300 del 1970 possono essere ar­ricchite e accentuate dalla contrattazione collettiva con la previsione di un termine finale per l'adozione del provvedimento disciplinare e con l'attribuzione del significato di accettazione delle giustificazioni alla inerzia del datore di lavoro protratta per un certo tempo dopo che il lavoratore abbia provveduto ad esporre le sue giustificazioni; se poi viene dedotto in giudizio che il termine negoziale ha reso eccessiva­mente difficile l'esercizio dei diritti del datore di lavoro, la valutazione circa la validità del termine stesso a norma dell'art. 2965 c.c. va compiuta non in termini astratti con riferimento alla sua maggiore o minore brevità, bensì avendo riguardo al singolo sog­getto onerato e alle specifiche circostanze di fatto" (Cass. 8.4.1998 n. 3608; cfr. pure Cass. 21.3.1994 n. 2663 e Cass. 22.3.1995 n. 3275, nonché – proprio in fattispecie in cui veniva in rilievo, come in quella in esame, la contrattazione collettiva per gli addetti al­l'industria chimica - Cass. 20.12.1990 n. 12116 e Cass. 5.8.2003 n. 11833).

Valutando il caso concreto la Corte sottolinea – come pure il Tribunale di Ferrara aveva fatto – che  dall'istruttoria testimoniale era emerso che il responsabile del personale della società appellante, dal suo ufficio di Milano, aveva effettuato gli accertamenti in ordine alle giustificazioni fornite dal dipendente metten­dosi telefonicamente in contatto con il cantiere cui questi era assegnato prima di essere trasferito ed il cui responsabile a sua volta interpellò, sempre tele­fonicamente, il cantiere presso cui il lavoratore era stato assunto.

I giudici dell’appello, infine, dichiarano non essere emersi ulte­riori elementi per far ri­tenere insuffi­ciente – e quindi nullo ai sensi del­l'art. 2965 cc - il termine di cinque giorni previsto dalla contrattazione collettiva, ritenendo infondato pure quanto dedotto dalla società appellante circa il vizio in cui sarebbe incorso il Tribunale per aver va­lutato l'eventuale nullità del suddetto termine previ­sto dal terzo comma dell'art. 52 del ccnl, con riferi­mento al caso concreto solo dopo aver ritenuto che esso fosse stato comunque violato determinando gli effetti connessi alla decadenza prevista dalla contrattazione collettiva sopra richiamata. A tale proposito osservano che – al di là del rilievo che tale censura non trova riscontro nella motivazione della sentenza impu­gnata – comunque l'eventuale vizio logico sotteso alla stessa non inficia le conclusioni cui il Tribunale è giunto: sia per quanto attiene alla qualificazione del termine in questione, che alla vali­dità dello stesso, con la conseguente rilevanza della sua violazione indi­pendentemente da ogni altra considerazione relativa ai fatti per i quali tale sanzione è stata adottata.
Corte d'Appello di Bologna > Licenziamento disciplinare
Data: 12/06/2008
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 396/08
Parti: X / Poste Italiane s.p.a.
LICENZIAMENTO DISCIPLINARE – CONVERSIONE IN LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO – GRAVITA’ DELL’INADEMPIMENTO - COMPORTAMENTI TENUTI IN PRECEDENZA DAL LAVORATORE